30.7.06

 
l’Unità 30.7.06
RITRATTI
Camus e Sartre: «Io e il signor Nulla»

di Anna Tito
Una nuova edizione delle Opere dello scrittore con un inedito in cui l’autore de Lo straniero e premio Nobel prende in giro il filosofo francese. Intervista con la figlia Catherine: «Avrei voluto un padre pompiere o poliziotto»

«Lo scriva, per favore - esordisce con noi Catherine, la figlia dello scrittore - che mi stupisce che in Francia sia passata quasi del tutto inosservata, in questa nuova edizione della Pléiade delle Opere di Camus, un’autentica “chicca”: a pagina 769 del II tomo si può leggere un testo breve, di una ventina di pagine, dal titolo L’impromptu des philosophes. È del tutto inedito, scritto nel 1948; si tratta di una commedia satirica improvvisata, sul modello del teatro del Settecento-Ottocento, in cui Camus prende in giro se stesso e Monsieur Néant (Signor Nulla), ovvero Jean-Paul Sartre (autore di l’Essere e il Nulla)». Ancora una volta Catherine ha collaborato attivamente alla pubblicazione degli scritti di suo padre. «Camus» lo chiama lei, e solo più avanti nel corso della conversazione dice a volte, abbassando la voce «mio padre». Vive a Lourmarin, un paesino della Provenza di poco più di mille anime e che sembra tuttora fuori dal mondo. Lì Albert Camus aveva acquistato, con i proventi del Premio Nobel, la sua prima vera casa, una dimora rustica dall’aspetto medioevale sita accanto alla Chiesa, in rue de l’Eglise appunto, oggi rue Albert Camus.
Aveva scelto questo rifugio e vi aveva trascorso le ultime settimane prima di quel fatidico 4 gennaio 1960, quando la Facel Vega su cui viaggiava per tornare a Parigi si fracassò contro un platano. Scherzi del destino: «pensi che aveva in tasca il biglietto del treno, poi, non so perché, accettò di ripartire in macchina con Michel Gallimard».
Della celebrità di suo padre Catherine si era resa conto poco tempo addietro, quando gli fu assegnato il Premio Nobel: «io ero affascinata dal circo, e gli chiesi se esisteva un premio simile per gli acrobati. Quando mi disse di no, rimasi delusa. Avrei voluto un padre pompiere, o poliziotto, quello dello scrittore non mi sembrava un vero mestiere».
Ammette: la sua vita è cambiata in quel 4 gennaio: «Quando si ha un padre celebre e lo si perde a quattordici anni, è come non avere più un padre, non vi appartiene più». Ora è lei che gli appartiene: impegnandosi a gestire l’opera del padre all’indomani della morte della madre, nel 1979. Si preparava a una carriera di avvocato, ma «non c’era scelta». Il suo gemello, Jean, lui è diventato avvocato, mentre lei ha rinunciato alla toga e lo trova normale: «Nelle famiglie pied-noir, sono le donne che si accollano i fardelli!». In fondo «spesso la vita sceglie per noi, e non sempre lo fa tanto male».
Pochissime volte è uscita dall’ombra: la prima nel 1994, quando decise di pubblicare Il primo uomo, manoscritto incompleto di Camus, redatto di getto proprio lì, nelle ultime settimane trascorse a Lourmarin, centoquarantaquattro pagine di una scrittura incomprensibile, con tante cancellature e annotazioni a margine. «Ma io so leggere benissimo la sua scrittura» dice fiera Catherine. Per introdurre il testo, Catherine scrisse trentatre righe, in cui spiegava le condizioni del ritrovamento, nella borsa di Camus che giaceva fra i rottami della Facel Vega. Dando alle stampe un manoscritto che non era stato neanche corretto, ebbe la sensazione di lasciare solo Camus, sotto i fuochi della critica: «Lì ho avuto una gran paura, ho temuto davvero di mettere in pericolo mio padre».
Per il resto, vive in solitudine. Ma non è una vestale e la casa appare come tutt’altro che un museo: «No, mai fermare tutto nella morte. La vita continua, e mio padre era un uomo di vita». Di lui ricorda «la risata, una risata vera». L’uomo che si descrive abitualmente come compassato, silenzioso, moralista, era in realtà «sensuale, tenero, caloroso, amava la vita in ogni suo aspetto. Guardava sempre, al tempo stesso, sia alla miseria sia alla bellezza. Questo mi ha insegnato».
In casa ha aggiunto tappeti, poltrone comode, qualche suppellettile: «Camus era sobrio, di un’austerità quasi spagnola. Della mia infanzia non ricordo soprammobili, fatta eccezione per un Arlecchino in vetro di Murano. Lui amava acquistare i mobili antichi dai rigattieri, ma dovevano servire a qualcosa: l’armadio per i vestiti, il tavolo per lavorare o per pranzare. Posso dire che in questa casa tutto ciò che ha una funzione è di Camus, il resto è di Catherine». Quando Camus fece risistemare il giardino, raccomandò al giardiniere «nulla di fantasioso».
Aveva scelto di «mettere radici» proprio in Provenza, «perché gli ricordava la sua terra natale, l’Algeria. Amava i paesaggi mediterranei, gli ulivi, i vigneti che circondano questa casa. E dietro le colline, si intravede il mare. Lui amava il Mediterraneo, ma non in senso folcloristico, ne apprezzava la civiltà, una certa forma di fraternità, che a suo avviso aveva un’influenza benefica sugli individui».
Di come sarebbe stato oggi suo padre, quasi centenario, se fosse vissuto, Catherine non sa: «Non me lo chiedo mai. Ha detto quanto aveva da dire da vivo, e nei suoi scritti possiamo ancora trovare delle risposte per oggi, e questo basta».

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