2.8.06

 
Repubblica 2.8.06
Riedita 'La fobìa romana' e altri scritti su Freud del filologo
Quell' eterno conflitto padre-figlio
Tutto diviene copertura del complesso edipico Ma il padrone non è 'tout court' il genitore
di SEBASTIANO TIMPANARO

Anticipiamo un brano del libro di Sebastiano Timpanaro "La «fobia romana» e altri scritti su Freud e Meringer" a cura di Alessandro Pagnini (Edizioni ETS, pagg.259, euro 20) in questi giorni in libreria.

A differenza di coloro che hanno tentato non sintesi, ma pasticci marxistico-freudiani, o si sono dichiarati senz'altro freudiani e non marxisti, Musatti (e questo è uno dei tratti distintivi e, insieme, più simpatici della sua personalità, in un periodo di tanto irrazionalismo e confusione d'idee) ha sempre considerato il marxismo e la psicanalisi come due teorie entrambe vere, ciascuna nel suo campo. Ma se egli compie, andando in questo caso più in là dello stesso antimarxista Freud, quella riduzione della «rivalità sociale» a «rivalità sessuale» che abbiamo visto, come potrà evitare, non dico di mettere in discussione questa o quella parte del marxismo o magari il marxismo tutto intero (la «crisi del marxismo» c'è anche per chi consideri invivibile una società capitalistica, per chi ritenga che, perdurando il capitalismo, non solo perdurino iniquità intollerabili, ma la specie umana stessa sia condannata a precoce estinzione), ma di salvare una relativa autonomia del livello economico-sociale, che è la premessa di ogni lotta di classe, di ogni obiettivo socialista ed egualitario? Ogni lotta di sfruttati contro sfruttatori, ogni conflitto politico, sociale, perfino culturale diviene la «copertura» dell' eterno conflitto padre-figlio di origine sessuale. Ogni proposta di altra spiegazione non è nemmeno oggetto di discussione, ma di «diagnosi» compiuta su chi la propone. Quelle che a te sembrano argomentazioni, sono soltanto razionalizzazioni di resistenze: se esprimi dubbi sulla psicanalisi, con ciò stesso dimostri di avere più che mai bisogno (se siamo ancora in tempo) di un trattamento psicoanalitico. Da un lato, biologismo monotono, che riduce tutto a un'unica causa, e quindi svilisce ogni attività interpretativa, perché non è vera interpretazione quella che parte sapendo già dove (pur con qualche possibilità di varianti nell'itinerario) si dovrà necessariamente arrivare. Dall'altro, paradossalmente, sottovalutazione della biologia, perché le nevrosi si spiegano e si curano senza alcun bisogno di sapere ciò che finora si sa (e di indagare il moltissimo che ancora non si sa) sulla struttura e il funzionamento del cervello e di tutto il sistema nervoso e di tutto il resto del corpo umano nelle sue relazioni col sistema nervoso. Qui tra freudiani, marxisti antimaterialisti, marxisti materialisti avvengono necessariamente delle interferenze. Non basta dire che Marx e Freud (e Einstein) furono dei grandi scienziati e dei grandi anticonformisti. Bisognerà dir chiaro che il padrone (le tante specie di padroni) non è, tout court, il padre; che non sono nevrotizzanti solo i conflitti della prima infanzia, ma la minaccia del licenziamento, lo stress del lavoro quotidiano, le continue umiliazioni, persecuzioni, imposizioni che chi ha il potere infligge a chi non ce l'ha; e poi ancora, l'ansia per la salute propria e dei propri cari, il dolore per la decadenza della vecchiezza (che non è soltanto decadenza sessuale), il senso di «assenza» per la perdita di persone che facevano parte di noi stessi. Tutto ciò vi è già nella psicanalisi rettamente intesa? In certa misura, senza dubbio sì. Ma non in misura tale da potersene accontentare. Come si comporta, poi, quella cultura benpensante di mezza sinistra che oggi domina l'Italia e l'Occidente? In un modo piuttosto curioso, quanto al problema che stiamo trattando. Da un lato, un antiriduzionismo esasperato, per cui non solo si difende la relativa autonomia del culturale rispetto all'economico-sociale e dell'economico-sociale rispetto al biologico (difesa certamente necessaria), ma ci si adagia in una cultura divisa settorialmente e in una rinuncia a qualsiasi visione del mondo unitaria (anche in un senso dinamico e «aperto»), che è, al tempo stesso, una rinuncia al materialismo, una ricaduta in vecchiumi spiritualistici e antropocentrici. Dall'altro, appena si affaccia la possibilità di una spiegazione psicanalitica, accettazione per più disinvolto riduzionismo, per cui tutto diviene «copertura» del complesso edipico. E invece, anche nelle scienze umane, per es. nella critica letteraria, si vede chiaro che il richiamarsi alla psicanalisi è fecondo solo quando si estendono i concetti di rimozione e di inconscio, quando il «rimosso» in senso stretto diviene il «represso», tutto il represso. Allora abbiamo gli studi di Francesco Orlando su Racine e su Molière, abbiamo feconde applicazioni della psicanalisi alla critica letteraria del nostro secondo Ottocento da parte di Muscetta, Madrignani, Luperini (manca ad essi, credo, soltanto una più netta consapevolezza di quanto si siano distaccati da Freud stesso, non solo dai suoi epigoni inintelligenti; e su questo punto constato, finora, che preferiscono non discutere, nemmeno per darmi del cretino). Quando invece si sottopongono gli artisti e le loro opere a interpretazioni strettamente «edipiche», si ha quell' ammasso di sciocchezze che sono state scritte in particolar modo sul Foscolo e sul Leopardi (e che già Freud aveva scritto, pur sempre con molto maggiore ingegno, su Michelangelo e Leonardo) e che non è qui il caso di ritornare a prendere in considerazione. Ora, il caso della «fobìa romana» di Freud ha, da questo punto di vista, una sua non lieta significatività, che per me è più importante della singola questione se la spiegazione data da Freud sia o no giusta. Una volta tanto (ma di queste volte ce n' è come sanno tutti i lettori di Freud, più d' una, anche se non quanto sarebbe stato necessario), Freud non era stato lo scolastico di se stesso. Non aveva spiegato una nevrosi col complesso edipico, e nemmeno con quei malumori per meschine questioni di denaro, di priorità scientifica, di rivalità di scuole, che certo esistettero, e in larga misura, nella vita psichica di Freud e del suo ambiente, ma a cui egli fece un ricorso eccessivo, per esempio, nella Psicopatologia della vita quotidiana. Aveva rivendicato la sua posizione di «minoritario» perseguitato e discendente di perseguitati, non disposto a piegarsi a conformismi e, proprio per il prezzo che aveva dovuto pagare al mantenimento di questa sua fierezza di isolato, vittima di una nevrosi difficile a superare. Vengono i freudiani e, pronti sempre ad accogliere le più inverosimili interpretazioni di Freud quando sono in armonia con la «dottrina», questa volta si accorgono con poco piacere che il maestro è fuoriuscito dalla dottrina. Gli danno del «reticente», lo analizzano più a fondo, lo ingabbiano nella sua stessa ortodossia. Si sentono soddisfatti quando conflitti sociali, persecuzioni di minoranze, rivolta contro una «organizzazione» sopraffattrice, scompaiono per dar luogo a qualcosa di molto più audace in apparenza, ma molto più tranquillizzante in realtà: il desiderio di andare a letto con la propria madre, che tutti abbiamo avuto e avremo, e che proprio per questa sua universalità non minaccia, avrebbe detto Cicerone, la concordia ordinum.

This page is powered by Blogger. Isn't yours?