17.8.06

 
l’Unità 17.8.06
Il padre nobile del Prc bacchetta il leader indiscusso del partito. Argomento, tra i più delicati, Fidel Castro

«Come militante di Rifondazione comunista sento il bisogno di esprimere il mio dissenso dal messaggio che in questi giorni il presidente Bertinotti
e anche il compagno Giordano hanno inviato a Fidel Castro». Con queste parole inizia la lettera di Pietro Ingrao, pubblicata da Liberazione sull’edizione di Ferragosto. Un rimprovero in piena regola. «Da tempo penso che a Cuba sia in atto un regime di pesante dittatura, che ha compiuto gravi atti di repressione del diritto al dissenso e alla libertà di opinione, instaurando nell'isola un clima di dura illibertà», argomenta Ingrao. Gli auguri a cui si riferisce sono quelli che Bertinotti e Giordano hanno deciso di inviare a Castro nel giorno del suo ottantesimo compleanno. «Nel suo messaggio Bertinotti si riferiva all’«importante presenza nel mondo» di Castro, «presenza congiunta al cammino della rivoluzione cubana. Nessuno dei dissensi che abbiamo lealmente espresso può cancellare le speranze e le emozioni che hanno suscitato nella mia generazione e nel mio paese le donne e gli uomini della Sierra Maestra». A difesa di segretario e ex Segretario replica Liberazione: «L'opinione di Pietro Ingrao conta sempre molto», ma i messaggi di Bertinotti e Giordano a a titolo personale, rispecchiano la linea politica del Prc su Cuba. «Una linea di grande rispetto, naturalmente, per la rivoluzione e per molti dei suoi valori e per la lotta che Cuba ha dovuto sostenere, in questi quasi 50 anni, contro il continuo attacco degli Stati Uniti, ma insieme di critica severa per i limiti fortissimi alla libertà e allo svolgimento democratico della politica», si legge nella replica. Che ricorda come Bertinotti e Giordano abbiano molte volte differenziato l'esperienza castrista dal regime sovietico e dalla storia del partito comunista bulgaro. Spiega il Direttore, Piero Sansonetti: «Le critiche a Cuba sono tutte legittimissime. E Cuba non si può prendere certo a modello, ma è stato l’unico luogo che ha resistito all’assedio americano». Dentro Rifondazione tutti ribadiscono le critiche a Castro ma si schierano - pur con qualche distinguo - con l’opinione espressa dal quotidiano del partito. E così pur “restando un passo indietro” al Pdci che è stato il più vicino al leader maximo nei giorni della sua malattia, Rifondazione non rinuncia alla sua anima cubana. «Il giudizio di Ingrao è sbagliato, esagerato. Noi non abbiamo mai risparmiato le critiche nè a Castro nè al partito cubano - dice il deputato, Ramon Mantovani - Ma finchè ci sono l’embargo e l’aggressione c’è la giustificazione per vivere in condizioni diverse da quelle che si vorrebbero». Rina Gagliardi, ammettendo che si tratta di una questione delicata, ci tiene a sottolineare la differenza tra l’importanza simbolica di Cuba e la sua effettiva realtà: «L’opinione di Ingrao è da tenere in conto, dopodichè Unità 17/08/06
è evidente che anche dal punto di vista simbolico e affettivo per molti giovani Cuba è importante». Anche il capogruppo del partito al Senato, Giovanni Russo Spena ribadisce, fatte salve le critiche, che «in America Latina Castro è un punto di riferimento della critica al liberalismo». E propone: «Lottiamo tutti insieme contro il blocco economico da parte degli Usa condannato anche dall’Onu e convinciamo i cubani ad una maggior democrazia interna».«Credo che il messaggio d’auguri sia un problema di civiltà di rapporti con un personaggio storico del 900, che tra l’altro Bertinotti conosce», dice il vicepresidente del Senato, Caprili. Si differenzia, invece, sia da Bertinotti che da Ingrao il leader della minoranza Sinistra Critica, Cannavò: «Non mi sembra che la discussione su Cuba si possa basare sugli auguri a Fidel Castro. Io glieli avrei fatti, perchè è giusto, ma li avrei fatti anche a Cuba perchè torni a essere una democrazia socialista». Mentre altri delle minoranze trotzkiste del partito esprimono disaccordo con Ingrao. «Mi sembra che sia un giudizio ingeneroso nei confronti di quest’esperienza che pure certamente vive delle difficoltà e può aver commesso degli errori», afferma il leader dell’Ernesto, Claudio Grassi. «Non mi permetto di liquidare in maniera così sbrigativa la grande esperienza anticapitalista di Cuba», dice anche Burgio (l’Ernesto).

Repubblica 17.8.06
Il fascino delle divise naziste
A sorpresa il libro è in vendita da ieri
Ecco i ricordi del romanziere che cita "la recluta che porta il mio nome"
di A.T.

BERLINO. Sbucciando la cipolla, il libro in cui Günter Grass confessa di aver creduto nel nazismo e di aver servito nelle SS, è già in vendita da ieri. L’editore Steidl ha scelto di non attendere più settembre, e di lanciarlo sull’onda delle polemiche. Ecco alcuni passi significativi delle Memorie-confessione di Grass:
Lo scoppio della guerra - «La mia infanzia finì in uno spazio ristretto, quando la guerra cominciò proprio dove io crescevo (...) i ricordi amano il gioco a nascondino dei bambini, si accucciano. Tendono a farsi belli, spesso senza necessità. Contraddicono la Memoria, che pedante e tenace vuole avere ragione».
Un familiare assassinato dai nazisti - «La guerra era iniziata da pochi giorni quando un cugino di mia madre, zio Franz, che come postino appartenne ai difensori della Posta polacca (di Danzica, ndr), subito dopo la fine del breve combattimento fu fucilato sul posto su ordine tedesco. Il giudice del campo che firmò la condanna a morte, dopo la guerra poté lavorare a lungo indisturbato come giudice in Schleswig-Holstein e firmare altre sentenze. Era abituale nell’epoca del cancelliere Adenauer (...) in famiglia di zio Franz improvvisamente non si parlò più. Il suo nome restò taciuto, come se non fosse mai esistito, come se fosse inenarrabile tutto quanto riguardava lui e la sua famiglia».
Il Reich di vittoria in vittoria - «Notizie straordinarie sul’offensiva-Blitzkrieg contro la Francia, la capitolazione dell’arcinemico (...) così andava avanti attraverso le conquiste, come una lezione di geografia allargata: colpo dopo colpo, vittoria dopo vittoria (...) alcuni di noi, anch’io, sperammo, in tre o quattro anni, se la guerra fosse durata abbastanza, di andare in marina, se possibile come marinai degli U-Boot. In costume da bagno festeggiavamo l’enumerarsi di successi militari».
Il fascino del nazismo - «Già negli ultimi tempi dello Stato libero di Danzica - avevo dieci anni - il giovane che portava il mio nome fu membro volontario dello Jungvolk, una organizzazione affiliata alla Hitlerjugend (...) come regalo di Natale sognavo l’uniforme (...) non solo l’uniforme seduceva. Lo slogan "la gioventù deve essere guidata dalla gioventù" esprimeva un’offerta di vita: campeggi, giochi all’aria aperta, falò (...) cantavamo, come se i nostri canti avessero potuto rendere il Reich sempre più grande».
Il giovane Grass diventa nazista convinto - «Come membro della Hitlerjugend ero un giovane nazista. Credente fino in fondo. Non ero fanatico, ma riflettendo con lo sguardo alla Bandiera che, si diceva, valeva "più della morte", restai nei ranghi, uso a marciare al passo. Nessun dubbio tormentava la Fede, niente di sovversivo come la distribuzione segreta di volantini, può assolvermi, nessun narrare barzellette su Goering mi rendeva sospetto. Io vedevo la Patria minacciata, perché circondata da nemici» (...) Per assolvere quel giovane, cioè me, non si può neppure dire "ci hanno sedotti"! No, noi ci lasciammo sedurre, io mi lasciai sedurre».
Arruolarsi per affrancarsi dal padre - «L’odio del figlio di mamma verso il padre, questo fiume di sentimenti che già muove le tragedie greche e poi rese il dottor Freud e i suoi discepoli così sensibili, fu in me, se non la causa, la spinta di cercare di prendere il largo. Sondai più vie di fuga. Tutte indicavano una direzione: via da qui, al fronte, a uno dei diversi fronti, il più presto possibile».
L’arruolamento nelle SS - «Al piano nobile d’una grande villa borghese, nel quartiere di Weisser Hirsch, seppi a quale truppa sarei appartenuto. Il mio ordine di mobilitazione chiarì dove la recluta che portava il mio nome avrebbe dovuto essere addestrata come carrista in un centro d’addestramento delle Waffen-SS. Da qualche parte nelle selve boeme. Mi chiedo: mi scosse allora quanto allora non era possibile non vedere all’ufficio di reclutamento, quel che oggi ancora - la doppia S - mi sembra orribile? (...) allora consideravo le Waffen-SS piuttosto come un’unità scelta (...) e le Waffen-SS avevano anche qualcosa di europeo: nelle sue divisioni combattevano volontari francesi, valloni, fiamminghi, olandesi, molti norvegesi, persino neutrali svedesi, insieme al fronte orientale in una battaglia di difesa, che, si diceva, avrebbe salvato l’Occidente dalla marea bolscevica».
Certezze allora, dubbi oggi - «C’erano abbastanza scuse da accampare. Eppure per decenni mi sono rifiutato di ammettere, di fare i conti con quelle due lettere. Quel che avevo messo in conto con lo stupido orgoglio della mia gioventù, lo volli nascondere dopo la guerra con una vergogna che cresceva nel mio animo. Ma il peso restò, e nessuno poté mai alleviarlo. Certo, durante l’addestramento, non sentii mai parlare dei crimini di guerra che più tardi vennero alla luce, ma la presunta non conoscenza non poteva coprire come un velo la mia scelta d’allora di servire un sistema che pianificò, organizzò ed eseguì lo sterminio di milioni di persone».
Ricordo d’un compagno di prigionia - «Ah, se allora (in servizio, ndr) avessi già avuto i barattoli e i dadi che poi, dopo la fine della guerra, furono bottino. Con barattoli e dadi io e un coetaneo, nel campo di prigionia alleato di Bad Aibling, giocavamo a dadi sul futuro. Joseph si chiamava quel ragazzo, era così fervente cattolico, che voleva ad ogni costo farsi prete, diventare vescovo, se possibile cardinale. Ma questa è un’altra storia, che non ha nulla a che fare con i miei ricordi del servizio, nella selva oscura».

Redazione Lanci – Agenzia Zadigroma 17 agosto 2006
Scienza7 - le notizie di Ulisse
Il gene che ci rende più umani
Chiamato HAR1F è responsabile della crescita della neocorteccia cerebrale

Si chiama HAR1F ed è uno dei geni che ci distingue dagli scimpanzé e che contribuisce a rendere unici gli esseri umani unici. Il gene è stato scoperto da un gruppo di ricercatori americani coordinati da David Haussler dell'Università della California di Santa Cruz ed è descritto in un articolo pubblicato sulla rivista “Nature”.
I ricercatori hanno confrontato le sequenze genetiche di vari animali (pollo, scimpanzé e ratto) con quelle dell’uomo alla ricerca delle principali differenze. È così emerso il ruolo del gene HAR1F che entra in azione proprio in uno dei momenti più delicati dello sviluppo del cervello dell’embrione, e cioè quando si forma la neocorteccia, la regione nella quale avvengono le attività cerebrali più complesse. Dunque HAR1F si esprime in quella parte del cervello tipicamente umana, ed è per questo che è stato additato come “gene spartiacque”, che in qualche modo contribuisce a separare l'uomo dalla scimmia.
Il gene si trova all'interno di una regione del genoma, chiamata HAR1 (Human Accelerated Region 1), che si è modificata moltissimo negli ultimi 5 milioni di anni e nella quale sono emerse le principali differenze (a livello genetico) tra uomini e scimpanzé. In questa regione infatti ci sono ben 18 differenze tra le due specie, contro le solo due riscontrate confrontando invece il genoma degli scimpanzé con quello dei polli.
Dallo studio è emerso anche che il gene HAR1F è legato alla relina, una sostanza che è coinvolta nello sviluppo della schizofrenia, nell’Alzheimer e in una malattia mortale molto rara che colpisce un bambino ogni centomila chiamata lissencefalia. Se venisse confermato che HAR1F è un regolatore della relina, si aprirebbero molte prospettive terapeutiche per la cura dell'Alzheimer, dal momento che questa patologia è proprio causata da un alto livello di relina.
http://ulisse.sissa.it/scienzaEsperienza/notizia/2006/ago/Uesp060824n002

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