22.8.06
La Repubblica 22.8.06 Prima pagina
Le idee
Che cosa vuol dire definirsi socialisti
di JOHN LLOYD
Il Partito dei socialisti europei ha un motto: «Socialisti e fieri d'esserlo!». Può anche essere che ne siano fieri, ma definirsi socialisti è fare un torto alla lingua. Se "socialista" vuol dire qualcosa, infatti, il Pse non può continuare a definirsi tale. Si tratta di altra cosa, di qualcosa di ragionevolmente diverso da un partito di destra, ma non socialista. Sarebbe auspicabile che la politica europea lo capisse.
Si prendano in considerazione le situazioni dei principali partiti della sinistra in Europa. Al potere da più tempo di qualunque altro è il Partito Laburista britannico, e nessuno dei suoi leader – tanto meno Tony Blair – lo definirebbe socialista; di tanto in tanto egli arriva a parlare di socialdemocrazia. I Socialdemocratici tedeschi, facenti parte della coalizione guidata dalla cristiano-democratica Angela Merkel, non sono in grado di concludere molto di per sé, tranne – come al momento – determinare un impasse nel processo politico interno. Perfino i socialisti spagnoli – la vittoria dei quali l´anno scorso è sopraggiunta del tutto imprevista, ma che da allora sono stati in grado di consolidare il loro potere in modo sbalorditivo sotto la leadership di Josè Zapatero – più che in una riforma economica in senso socialista, sono impegnati nella liberalizzazione della società. In Svezia i socialdemocratici sono un partito quasi permanentemente al governo, e sono in quella condizione perché hanno assunto una posizione sempre più centrista. Nei Paesi Bassi un partito laburista non al potere è alla ricerca di nuove posizioni principalmente in tema di immigrazione in un Paese nel quale si è andata gradualmente rafforzando l´opposizione all´arrivo di altri immigrati e nel quale si sta assumendo un atteggiamento molto più rigido nei confronti dell´Islam radicale. In Francia i socialisti subiscono ancora le conseguenze della loro drammatica sconfitta del 2002 e della loro profonda spaccatura in relazione all´Europa, mentre la candidata favorita alla presidenza, la popolare Segolene Royale, sta a poco a poco virando verso posizioni sempre più centriste – si potrebbe quasi chiamarle di destra – e proprio queste la rendono così popolare.
In Italia, dopo un periodo turbolento – che per molti aspetti potremmo definire vergognoso – di governo della destra, è andata al potere la sinistra e l´Unione delle sinistre ha già iniziato a fare quello che il governo di destra non ha fatto: liberalizzare l´economia. Si tratta di qualcosa di necessario, che non si può dire appartenga alla politica della sinistra. Al tempo stesso, la sinistra si è presa l´arduo compito di unire i principali partiti che la compongono e questo deve alimentare un dibattito su ciò che la sinistra incarna. Tale operazione assomiglierà al dibattito che ha dato vita al New Labour all´inizio degli anni Novanta, anche se avrà luogo in circostanze ancora più complesse.
Tutti i partiti della sinistra europea, di tradizioni quanto mai diverse e che devono far fronte a problemi nazionali quanto mai disparati, sono simili per taluni aspetti fondamentali. Non credono più – o almeno non agiscono più in base alla convinzione – che provvedimenti socialisti in campo economico sosterranno la crescita e nemmeno, su un periodo più lungo, l´impiego. Sono alle prese con una reazione violenta, comune a tutta Europa, nei confronti dell´immigrazione, e con la paura per l´Islam radicale, per contrastare le quali devono mettere a punto precise metodologie politiche. Infine, vedono il loro elettorato tradizionale, la classe lavoratrice organizzata in sindacati, continuare a ridursi sempre più. Negli ex stati comunisti, la vita dopo il comunismo si è rivelata assai dura per i partiti democratici di sinistra che hanno dovuto combattere per conquistare potere politico.
In Europa tra i partiti di sinistra e quelli di destra esiste – o può esistere – una differenza di pratiche e di principi: il Pse si esprime al meglio nel perseguire un modello sociale europeo, che conterà su un´alta imposizione fiscale per supportare un welfare state relativamente generoso, buoni servizi sanitari, un´educazione pubblica e un´alta spesa per le infrastrutture pubbliche. Questa è la socialdemocrazia, ma è stata, più o meno, altresì la prassi seguita da molti dei partiti di centrodestra in Europa (ma non nel Regno Unito dagli anni Settanta in poi). Un accordo de facto tra centrosinistra e centrodestra sulla conservazione di un welfare state generoso e interventista non è sparito, anzi è così forte che un governo guidato da Silvio Berlusconi – che si definiva uno che avrebbe affrancato l´economia italiana dalle sue catene corporative – ha fatto davvero poco per cambiarne la compagine di fondo.
Che cosa attenderci, di conseguenza, allorché eleggiamo un governo di sinistra? Non più una trasformazione economica; non più un automatico approccio liberale alle questioni sociali e a quelle correlate all´immigrazione; non più, neppure, un sostegno ai lavoratori. Ci aspettiamo piuttosto un approccio maggiormente sociale; un atteggiamento maggiormente liberale nei confronti delle questioni sociali e individuali; un´enfasi maggiore sull´integrità; una maggiore volontà di promulgare leggi rispettose dei diritti delle donne. Tutte queste differenze sono importanti: possono voler dire un cambiamento in meglio nei diritti e nelle vite delle persone. Ma si tratta, nondimeno, di differenze relative, perché dai governi di destra non ci aspettiamo che siano contrari a queste cose, quanto meno non in modo esagerato e drastico.
Esistono, è ovvio, ragioni precise per le quali i partiti non possono repentinamente cambiare i concetti nei quali credono, anche se non agiscono in base ad essi già da tempo. C´è la tradizione - spesso una tradizione di lotta, talvolta di oppressione, che non può essere accantonata alla leggera. Forse è perché il Labour Party britannico non è mai stato oggetto di repressione da parte delle forze di una destra totalitaria – come in Germania, Italia e Spagna – che esso è stato capace di cambiare così radicalmente e apertamente come ha fatto. Ci sono i membri di partito, molti dei quali restano aggrappati all´idea che il socialismo può prevalere. E c´è infine l´opposizione della destra che tende – come del resto tutte le opposizioni – a costringerli a caratterizzarsi come rivali della destra, obbligandoli di conseguenza a rimanere attaccati al nome di socialisti.
Una delle ragioni migliori è che il socialismo – il socialismo democratico – ha ottenuto tanti buoni risultati nel secolo o poco più dacché esiste. Le sue due degenerazioni totalitarie – il nazionalsocialismo e il comunismo – non possono di per sé inficiare la forza grazie alla quale il socialismo progressista, di importanza secondaria prima della seconda guerra mondiale, da allora è di importanza primaria. Le pressioni popolari per una società più equa sono state espresse dai partiti democratici socialisti e sostenute al governo. Laddove nella seconda metà del secolo scorso sono rimasti in carica regimi autoritari – come in Spagna, Grecia e Portogallo – i socialisti vi si sono opposti e dopo la loro caduta, una volta al governo, hanno fatto molto per porre rimedio ai danni inferti alle rispettive società. Hanno contribuito a dare dignità e sicurezza ai lavoratori; hanno dato voce ai valori della tolleranza e del liberalismo nelle questioni sociali; e a livello internazionale si sarebbero ritrovati schierati per la pace e la riconciliazione. In effetti, il fatto stesso che il centrodestra non possa più mettere seriamente in discussione questi risultati, è un riconoscimento al loro successo.
Per questo successo, però, si sono trasformati di continuo. L´essenza del centrosinistra è la sua flessibilità, che i suoi oppositori chiamano opportunismo, ma che di fatto è una ponderata agnizione dei cambiamenti socio-economici. In questa fase della storia europea, il socialismo – se con questa parola si indica un insieme di misure economiche e sociali, più che una memoria storica – non ha più significato: se fa appello ai militanti più anziani, non da più la carica ai giovani; se evoca la visione di un grande passato, ipoteca il futuro.
Tuttavia esiste ancora un ambito di politica progressista del quale è erede la sinistra. È la politica che ricorre a una varietà di mezzi, compresi i meccanismi di mercato, per far sì che i servizi forniti alla società – come la sanità, l´educazione, le pensioni – siano efficienti e al contempo adeguatamente finanziati. La liberalizzazione dell´economia, del genere di quella che sta al momento perseguendo l´Unione di sinistra, scatenerà sempre la collera delle categorie che hanno ricavato beneficio dal regime di monopolio, ma laddove la liberalizzazione stimola la caduta dei prezzi dei servizi e dei prodotti, come spesso accade, allora arrecherà beneficio a una più vasta fetta dell´elettorato.
La sinistra è stata propensa a essere liberale nelle tematiche sociali e ancora può esserlo. Come forza laica, essa fornisce spazio all´espressione artistica e personale che preferisce la partecipazione attiva alla passività. Può esprimere un ottimismo sociale che incoraggia l´impegno comune a migliorare l´ambiente, ad assistere le persone più vulnerabili e a portare aiuto a quella vasta parte di mondo tuttora sprofondata nell´indigenza. Può benissimo esprimere opposizione alla tirannia in altri Paesi e indicare – anche adesso che il progetto di liberare l´Iraq si impantana – una strada migliore per togliere dall´oppressione i popoli tuttora gravati da un regime totalitario.
Più di ogni altra cosa, la sinistra ha la capacità di dare una visione a una società che ancora esige valori in cui credere. Questa visione deve essere pluralista, lasciare spazi e possibilità di evoluzione a fedi e principi che non sono necessariamente quelli della sinistra. Ma deve anche avere una propria integrità, quella della solidarietà, dell´apertura a dialogare, della volontà a trovare compromessi. Deve continuare la sua lotta per una democrazia in senso più ampio, non contro la dittatura – come adesso, quanto meno in Europa – ma contro l´apatia e la frammentazione della società. Tutto ciò fa parte della sua eredità e potrebbe essere parte del suo futuro.
Creare un nuovo partito a partire da quelli esistenti – come adesso ha occasione di fare la sinistra italiana – potrebbe voler dire ridefinire e dare nuovo vigore a una politica progressista per questo secolo. A livello europeo, potrebbe offrire ai partiti europei della sinistra una base a partire dalla quale proporre la modernizzazione delle loro rispettive società. Se il Pse non può più dire «Socialisti e fieri di esserlo!», può essere tuttavia davvero fiero di quello che potrebbe diventare: una forza a favore della democrazia, della solidarietà popolare e dell´internazionalizzazione della libertà.
(Traduzione di Anna Bissanti)
Agi 22.8.06
(AGI) - Roma, 22 ago. - Non e' superato o morto, e' vivo e vitale e soprattutto si puo' essere fieri stare dalla sua parte, vicini a quel 'riformismo rivoluzionario' tanto diverso dal 'riformismo modernista' che ha contraddistinto le socialdemocrazie europee ma anche dal comunismo nelle sue variabili del catto-comunismo. Cosi' il socialista Giorgio Ruffolo, economista e presidente del Cer, il 'diessino' Cesare Salvi, presidente della Commissione Giustizia del Senato e lo storico socialista Giuseppe Tamburrano si pongono difronte al dibattito sulla questione dell'attualita' o meno del socialismo, aperto e trattato da 'Il Riformista' come da 'l'Unita' e 'la Repubblica' con una riflessione di John Lloyd che parte dal motto dei socialisti europei: "socialisti e fieri di esserlo!" per poi aggiungere "se socialista vuol dir qualcosa il Pse non puo' continuare a definirsi tale", viste le esperienze liberiste dell'Inghilterra di Blair, della Spagna di Zapatero, o delle socialdemocrazie svedesi e tedesche, fino alla crisi in cui versa il socialismo francese. "Vero che la connotazione socialista si e' molto offuscata e che non e' riconoscibile oggi un'identita' condivisa rispetto al secolo socialdemocratico, dopo la seconda guerra mondiale, da cui prese vita il Welfare State - spiega Ruffolo - ma e' altrettanto vero che lo spazio per il socialismo c'e', eccome! Si tratta di recuperare quel 'riformismo rivoluzionario' che permette non solo di non rassegnarsi all'esistente, ai rapporti forza in cui vince il piu' forte ma di affermare l'umanesimo democratico, principio fondante della storia del socialismo". Dunque, recuperare il 'riformismo rivoluzionario' teorizzato a suo tempo da Riccardo Lombardi. "Si', fu una grande intuizione tuttora valida per rispondere alla crisi del socialismo europeo che e' molto sulla difensiva e vede il prevalere delle posizioni piu' moderate - nota Salvi - E a Lombardi alle sue idee mi sento molto vicino". (AGI)
Agi 22.8.06
(AGI) - Roma, 22 ago. - Trova consensi, anche se con distinguo e sottolineature critiche, l'idea di recuperare e mettere al centro del dibattito politico il 'riformismo rivoluzionario' a suo tempo teorizzato da Riccardo Lombardi. Se ne fanno portavoci il Ministro della Difesa Arturo Parisi e Antonello Falomi, vice-presidente del gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. "Lombardi e' stato un anticipatore della stagione che stiamo vivendo che vede finalmente al fianco riformisti di ispirazione e provenienza diversa, certamente segnati, ma non piu' trattenuti dalle diverse storie politiche e appartenenze di partito", e' la tesi del Ministro Parisi che di Lombardi e' stato un estimatore e lo e' ancora, tanto che ritenerne valido il progetto politico in quanto, "caratterizzato da una fortissima tensione riformista e poi perche' portatore di una idea cosi' alta da giustificare una espressione apparentemente contraddittoria ma significativa come riformismo rivoluzionario che e' stata in fondo la cifra stessa di tutta l'esperienza politica di Lombardi socialista". Per Falomi, "il socialismo va reinventato: resta tutto quel che e' stato come valori, penso alla liberta' e all'eguaglianza, ma nulla di cio' che e' stato come strumenti per inverare quei valori, visto che il contesto e' totalmente mutato dominato come e' dalla globalizzazione: si' il riformismo rivoluzionario di Lombardi e' stata certamente un'idea forte ma oggi forse non e' del tutto valida nel contesto nuovo". Oggi il 'teatro' della battaglia e', per Falomi, "il mondo, rispetto al passato quando e' stato il singolo paese: per questo va costruita - conclude - una forza socialista di sinistra pacifista e non-violenta che ha come riferimento quel mondo del lavoro da liberare e sottrarre alla precarieta' cui e' soggetto, capace di misurarsi con i problemi nuovi posti, appunto, dalla globalizzazione". (AGI)
Agi 22.8.06
(AGI) - Roma, 22 ago. - Lo storico Tamburrano premette, "io sono socialista e fiero di esserlo" e poi osserva "si scopre l'acqua calda affermando che in Europa non c'e' il socialismo ma qualcosa che gli somiglia appena vista la dose di liberalismo e liberismo che contraddistingue Blair e Zapatero o i socialdemocratici o al limite anche i francesi: e' perche' il socialismo e' morto o e' un tradimento di valori?". Lo storico, e' per la seconda ipotesi: ossia, tradimento di valori. "Quel che va valutato attentamente e' la prospettiva del Partito Democratico - conclude Tamburrano - che per me e' l'affossamento definitivo di ogni progetto politico in senso socialista". Dello stesso avviso e' Salvi. "Quella che si va delineando con il Partito Democratico e' una soluzione - precisa l'esponente 'diessino' - strutturalmente moderata, fuori dal dibattito in corso in Europa su come risollevare le sorti del socialismo, di cui vanno salvaguardati i principi fondamentali (Stato sociale, avanzamento dei diritti civili) a fronte di una maggiore accentuazione della democrazia politica, della partecipazione, della trasformazione politica". Infine per Ruffolo l'attualita' del socialismo, nella versione del 'riformismo rivoluzionario', poggia su tre grandi priorita': l'ordine mondiale, assicurare cioe' la governabilita' mondiale - afferma Ruffolo - nel segno della pace, del dialogo e del confronto che la superpotenza americana non e' in grado di garantire; l'approdo ad un capitalismo democratico ed il senso da dare al progresso che non puo' non esser fondato sull'umanesimo socialista. Ecco su questi tre punti vedo un'azione forte da parte dell'Europa nel suo insieme per assurgere, superando le sovranita' nazionali, al ruolo di attrazione mondiale". (AGI)
Le idee
Che cosa vuol dire definirsi socialisti
di JOHN LLOYD
Il Partito dei socialisti europei ha un motto: «Socialisti e fieri d'esserlo!». Può anche essere che ne siano fieri, ma definirsi socialisti è fare un torto alla lingua. Se "socialista" vuol dire qualcosa, infatti, il Pse non può continuare a definirsi tale. Si tratta di altra cosa, di qualcosa di ragionevolmente diverso da un partito di destra, ma non socialista. Sarebbe auspicabile che la politica europea lo capisse.
Si prendano in considerazione le situazioni dei principali partiti della sinistra in Europa. Al potere da più tempo di qualunque altro è il Partito Laburista britannico, e nessuno dei suoi leader – tanto meno Tony Blair – lo definirebbe socialista; di tanto in tanto egli arriva a parlare di socialdemocrazia. I Socialdemocratici tedeschi, facenti parte della coalizione guidata dalla cristiano-democratica Angela Merkel, non sono in grado di concludere molto di per sé, tranne – come al momento – determinare un impasse nel processo politico interno. Perfino i socialisti spagnoli – la vittoria dei quali l´anno scorso è sopraggiunta del tutto imprevista, ma che da allora sono stati in grado di consolidare il loro potere in modo sbalorditivo sotto la leadership di Josè Zapatero – più che in una riforma economica in senso socialista, sono impegnati nella liberalizzazione della società. In Svezia i socialdemocratici sono un partito quasi permanentemente al governo, e sono in quella condizione perché hanno assunto una posizione sempre più centrista. Nei Paesi Bassi un partito laburista non al potere è alla ricerca di nuove posizioni principalmente in tema di immigrazione in un Paese nel quale si è andata gradualmente rafforzando l´opposizione all´arrivo di altri immigrati e nel quale si sta assumendo un atteggiamento molto più rigido nei confronti dell´Islam radicale. In Francia i socialisti subiscono ancora le conseguenze della loro drammatica sconfitta del 2002 e della loro profonda spaccatura in relazione all´Europa, mentre la candidata favorita alla presidenza, la popolare Segolene Royale, sta a poco a poco virando verso posizioni sempre più centriste – si potrebbe quasi chiamarle di destra – e proprio queste la rendono così popolare.
In Italia, dopo un periodo turbolento – che per molti aspetti potremmo definire vergognoso – di governo della destra, è andata al potere la sinistra e l´Unione delle sinistre ha già iniziato a fare quello che il governo di destra non ha fatto: liberalizzare l´economia. Si tratta di qualcosa di necessario, che non si può dire appartenga alla politica della sinistra. Al tempo stesso, la sinistra si è presa l´arduo compito di unire i principali partiti che la compongono e questo deve alimentare un dibattito su ciò che la sinistra incarna. Tale operazione assomiglierà al dibattito che ha dato vita al New Labour all´inizio degli anni Novanta, anche se avrà luogo in circostanze ancora più complesse.
Tutti i partiti della sinistra europea, di tradizioni quanto mai diverse e che devono far fronte a problemi nazionali quanto mai disparati, sono simili per taluni aspetti fondamentali. Non credono più – o almeno non agiscono più in base alla convinzione – che provvedimenti socialisti in campo economico sosterranno la crescita e nemmeno, su un periodo più lungo, l´impiego. Sono alle prese con una reazione violenta, comune a tutta Europa, nei confronti dell´immigrazione, e con la paura per l´Islam radicale, per contrastare le quali devono mettere a punto precise metodologie politiche. Infine, vedono il loro elettorato tradizionale, la classe lavoratrice organizzata in sindacati, continuare a ridursi sempre più. Negli ex stati comunisti, la vita dopo il comunismo si è rivelata assai dura per i partiti democratici di sinistra che hanno dovuto combattere per conquistare potere politico.
In Europa tra i partiti di sinistra e quelli di destra esiste – o può esistere – una differenza di pratiche e di principi: il Pse si esprime al meglio nel perseguire un modello sociale europeo, che conterà su un´alta imposizione fiscale per supportare un welfare state relativamente generoso, buoni servizi sanitari, un´educazione pubblica e un´alta spesa per le infrastrutture pubbliche. Questa è la socialdemocrazia, ma è stata, più o meno, altresì la prassi seguita da molti dei partiti di centrodestra in Europa (ma non nel Regno Unito dagli anni Settanta in poi). Un accordo de facto tra centrosinistra e centrodestra sulla conservazione di un welfare state generoso e interventista non è sparito, anzi è così forte che un governo guidato da Silvio Berlusconi – che si definiva uno che avrebbe affrancato l´economia italiana dalle sue catene corporative – ha fatto davvero poco per cambiarne la compagine di fondo.
Che cosa attenderci, di conseguenza, allorché eleggiamo un governo di sinistra? Non più una trasformazione economica; non più un automatico approccio liberale alle questioni sociali e a quelle correlate all´immigrazione; non più, neppure, un sostegno ai lavoratori. Ci aspettiamo piuttosto un approccio maggiormente sociale; un atteggiamento maggiormente liberale nei confronti delle questioni sociali e individuali; un´enfasi maggiore sull´integrità; una maggiore volontà di promulgare leggi rispettose dei diritti delle donne. Tutte queste differenze sono importanti: possono voler dire un cambiamento in meglio nei diritti e nelle vite delle persone. Ma si tratta, nondimeno, di differenze relative, perché dai governi di destra non ci aspettiamo che siano contrari a queste cose, quanto meno non in modo esagerato e drastico.
Esistono, è ovvio, ragioni precise per le quali i partiti non possono repentinamente cambiare i concetti nei quali credono, anche se non agiscono in base ad essi già da tempo. C´è la tradizione - spesso una tradizione di lotta, talvolta di oppressione, che non può essere accantonata alla leggera. Forse è perché il Labour Party britannico non è mai stato oggetto di repressione da parte delle forze di una destra totalitaria – come in Germania, Italia e Spagna – che esso è stato capace di cambiare così radicalmente e apertamente come ha fatto. Ci sono i membri di partito, molti dei quali restano aggrappati all´idea che il socialismo può prevalere. E c´è infine l´opposizione della destra che tende – come del resto tutte le opposizioni – a costringerli a caratterizzarsi come rivali della destra, obbligandoli di conseguenza a rimanere attaccati al nome di socialisti.
Una delle ragioni migliori è che il socialismo – il socialismo democratico – ha ottenuto tanti buoni risultati nel secolo o poco più dacché esiste. Le sue due degenerazioni totalitarie – il nazionalsocialismo e il comunismo – non possono di per sé inficiare la forza grazie alla quale il socialismo progressista, di importanza secondaria prima della seconda guerra mondiale, da allora è di importanza primaria. Le pressioni popolari per una società più equa sono state espresse dai partiti democratici socialisti e sostenute al governo. Laddove nella seconda metà del secolo scorso sono rimasti in carica regimi autoritari – come in Spagna, Grecia e Portogallo – i socialisti vi si sono opposti e dopo la loro caduta, una volta al governo, hanno fatto molto per porre rimedio ai danni inferti alle rispettive società. Hanno contribuito a dare dignità e sicurezza ai lavoratori; hanno dato voce ai valori della tolleranza e del liberalismo nelle questioni sociali; e a livello internazionale si sarebbero ritrovati schierati per la pace e la riconciliazione. In effetti, il fatto stesso che il centrodestra non possa più mettere seriamente in discussione questi risultati, è un riconoscimento al loro successo.
Per questo successo, però, si sono trasformati di continuo. L´essenza del centrosinistra è la sua flessibilità, che i suoi oppositori chiamano opportunismo, ma che di fatto è una ponderata agnizione dei cambiamenti socio-economici. In questa fase della storia europea, il socialismo – se con questa parola si indica un insieme di misure economiche e sociali, più che una memoria storica – non ha più significato: se fa appello ai militanti più anziani, non da più la carica ai giovani; se evoca la visione di un grande passato, ipoteca il futuro.
Tuttavia esiste ancora un ambito di politica progressista del quale è erede la sinistra. È la politica che ricorre a una varietà di mezzi, compresi i meccanismi di mercato, per far sì che i servizi forniti alla società – come la sanità, l´educazione, le pensioni – siano efficienti e al contempo adeguatamente finanziati. La liberalizzazione dell´economia, del genere di quella che sta al momento perseguendo l´Unione di sinistra, scatenerà sempre la collera delle categorie che hanno ricavato beneficio dal regime di monopolio, ma laddove la liberalizzazione stimola la caduta dei prezzi dei servizi e dei prodotti, come spesso accade, allora arrecherà beneficio a una più vasta fetta dell´elettorato.
La sinistra è stata propensa a essere liberale nelle tematiche sociali e ancora può esserlo. Come forza laica, essa fornisce spazio all´espressione artistica e personale che preferisce la partecipazione attiva alla passività. Può esprimere un ottimismo sociale che incoraggia l´impegno comune a migliorare l´ambiente, ad assistere le persone più vulnerabili e a portare aiuto a quella vasta parte di mondo tuttora sprofondata nell´indigenza. Può benissimo esprimere opposizione alla tirannia in altri Paesi e indicare – anche adesso che il progetto di liberare l´Iraq si impantana – una strada migliore per togliere dall´oppressione i popoli tuttora gravati da un regime totalitario.
Più di ogni altra cosa, la sinistra ha la capacità di dare una visione a una società che ancora esige valori in cui credere. Questa visione deve essere pluralista, lasciare spazi e possibilità di evoluzione a fedi e principi che non sono necessariamente quelli della sinistra. Ma deve anche avere una propria integrità, quella della solidarietà, dell´apertura a dialogare, della volontà a trovare compromessi. Deve continuare la sua lotta per una democrazia in senso più ampio, non contro la dittatura – come adesso, quanto meno in Europa – ma contro l´apatia e la frammentazione della società. Tutto ciò fa parte della sua eredità e potrebbe essere parte del suo futuro.
Creare un nuovo partito a partire da quelli esistenti – come adesso ha occasione di fare la sinistra italiana – potrebbe voler dire ridefinire e dare nuovo vigore a una politica progressista per questo secolo. A livello europeo, potrebbe offrire ai partiti europei della sinistra una base a partire dalla quale proporre la modernizzazione delle loro rispettive società. Se il Pse non può più dire «Socialisti e fieri di esserlo!», può essere tuttavia davvero fiero di quello che potrebbe diventare: una forza a favore della democrazia, della solidarietà popolare e dell´internazionalizzazione della libertà.
(Traduzione di Anna Bissanti)
Agi 22.8.06
(AGI) - Roma, 22 ago. - Non e' superato o morto, e' vivo e vitale e soprattutto si puo' essere fieri stare dalla sua parte, vicini a quel 'riformismo rivoluzionario' tanto diverso dal 'riformismo modernista' che ha contraddistinto le socialdemocrazie europee ma anche dal comunismo nelle sue variabili del catto-comunismo. Cosi' il socialista Giorgio Ruffolo, economista e presidente del Cer, il 'diessino' Cesare Salvi, presidente della Commissione Giustizia del Senato e lo storico socialista Giuseppe Tamburrano si pongono difronte al dibattito sulla questione dell'attualita' o meno del socialismo, aperto e trattato da 'Il Riformista' come da 'l'Unita' e 'la Repubblica' con una riflessione di John Lloyd che parte dal motto dei socialisti europei: "socialisti e fieri di esserlo!" per poi aggiungere "se socialista vuol dir qualcosa il Pse non puo' continuare a definirsi tale", viste le esperienze liberiste dell'Inghilterra di Blair, della Spagna di Zapatero, o delle socialdemocrazie svedesi e tedesche, fino alla crisi in cui versa il socialismo francese. "Vero che la connotazione socialista si e' molto offuscata e che non e' riconoscibile oggi un'identita' condivisa rispetto al secolo socialdemocratico, dopo la seconda guerra mondiale, da cui prese vita il Welfare State - spiega Ruffolo - ma e' altrettanto vero che lo spazio per il socialismo c'e', eccome! Si tratta di recuperare quel 'riformismo rivoluzionario' che permette non solo di non rassegnarsi all'esistente, ai rapporti forza in cui vince il piu' forte ma di affermare l'umanesimo democratico, principio fondante della storia del socialismo". Dunque, recuperare il 'riformismo rivoluzionario' teorizzato a suo tempo da Riccardo Lombardi. "Si', fu una grande intuizione tuttora valida per rispondere alla crisi del socialismo europeo che e' molto sulla difensiva e vede il prevalere delle posizioni piu' moderate - nota Salvi - E a Lombardi alle sue idee mi sento molto vicino". (AGI)
Agi 22.8.06
(AGI) - Roma, 22 ago. - Trova consensi, anche se con distinguo e sottolineature critiche, l'idea di recuperare e mettere al centro del dibattito politico il 'riformismo rivoluzionario' a suo tempo teorizzato da Riccardo Lombardi. Se ne fanno portavoci il Ministro della Difesa Arturo Parisi e Antonello Falomi, vice-presidente del gruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. "Lombardi e' stato un anticipatore della stagione che stiamo vivendo che vede finalmente al fianco riformisti di ispirazione e provenienza diversa, certamente segnati, ma non piu' trattenuti dalle diverse storie politiche e appartenenze di partito", e' la tesi del Ministro Parisi che di Lombardi e' stato un estimatore e lo e' ancora, tanto che ritenerne valido il progetto politico in quanto, "caratterizzato da una fortissima tensione riformista e poi perche' portatore di una idea cosi' alta da giustificare una espressione apparentemente contraddittoria ma significativa come riformismo rivoluzionario che e' stata in fondo la cifra stessa di tutta l'esperienza politica di Lombardi socialista". Per Falomi, "il socialismo va reinventato: resta tutto quel che e' stato come valori, penso alla liberta' e all'eguaglianza, ma nulla di cio' che e' stato come strumenti per inverare quei valori, visto che il contesto e' totalmente mutato dominato come e' dalla globalizzazione: si' il riformismo rivoluzionario di Lombardi e' stata certamente un'idea forte ma oggi forse non e' del tutto valida nel contesto nuovo". Oggi il 'teatro' della battaglia e', per Falomi, "il mondo, rispetto al passato quando e' stato il singolo paese: per questo va costruita - conclude - una forza socialista di sinistra pacifista e non-violenta che ha come riferimento quel mondo del lavoro da liberare e sottrarre alla precarieta' cui e' soggetto, capace di misurarsi con i problemi nuovi posti, appunto, dalla globalizzazione". (AGI)
Agi 22.8.06
(AGI) - Roma, 22 ago. - Lo storico Tamburrano premette, "io sono socialista e fiero di esserlo" e poi osserva "si scopre l'acqua calda affermando che in Europa non c'e' il socialismo ma qualcosa che gli somiglia appena vista la dose di liberalismo e liberismo che contraddistingue Blair e Zapatero o i socialdemocratici o al limite anche i francesi: e' perche' il socialismo e' morto o e' un tradimento di valori?". Lo storico, e' per la seconda ipotesi: ossia, tradimento di valori. "Quel che va valutato attentamente e' la prospettiva del Partito Democratico - conclude Tamburrano - che per me e' l'affossamento definitivo di ogni progetto politico in senso socialista". Dello stesso avviso e' Salvi. "Quella che si va delineando con il Partito Democratico e' una soluzione - precisa l'esponente 'diessino' - strutturalmente moderata, fuori dal dibattito in corso in Europa su come risollevare le sorti del socialismo, di cui vanno salvaguardati i principi fondamentali (Stato sociale, avanzamento dei diritti civili) a fronte di una maggiore accentuazione della democrazia politica, della partecipazione, della trasformazione politica". Infine per Ruffolo l'attualita' del socialismo, nella versione del 'riformismo rivoluzionario', poggia su tre grandi priorita': l'ordine mondiale, assicurare cioe' la governabilita' mondiale - afferma Ruffolo - nel segno della pace, del dialogo e del confronto che la superpotenza americana non e' in grado di garantire; l'approdo ad un capitalismo democratico ed il senso da dare al progresso che non puo' non esser fondato sull'umanesimo socialista. Ecco su questi tre punti vedo un'azione forte da parte dell'Europa nel suo insieme per assurgere, superando le sovranita' nazionali, al ruolo di attrazione mondiale". (AGI)