11.8.06

 
l’Unità 11.8.06
Borgna: Il segreto della felicità? L’empatia
di Roberto Carnero

«Comunicare con gli altri, aprirsi alla relazione con chi ci sta intorno, imparare a vedere le persone come soggetti da valorizzare e non come oggetti da usare»: questa è per Eugenio Borgna la ricetta della felicità. Un concetto di felicità - quello del noto psichiatra - che prevede un’apertura all’esterno, anziché una chiusura dentro se stessi, nelle proprie personali aspettative, nei propri specifici problemi. Quest’ultimo atteggiamento, invece, finirebbe con il rendere infelici, piuttosto che felici.
Borgna commenta così il boom di pubblicazioni sull’argomento felicità: «Evidentemente questo interesse editoriale è sintomo del fatto che la nostra società è affamata di felicità. Del resto ogni esperienza umana si realizza nell’orizzonte di una felicità possibile. Se è vero che l’idea di felicità cambia a seconda dell’epoca storica e degli orizzonti di senso prevalenti, è anche vero che l’ultimo secolo è stato un tempo di notevole infelicità, poiché è stata un’epoca solcata da grandi sofferenze, da grandi dolori, individuali e collettivi. Probabilmente questa attuale ricerca della felicità rappresenta il tentativo di ridurre le spine che ci hanno tormentato e che ci tormentano, nell’illusione, o nella speranza, che essere felici sia davvero possibile».
Professor Borgna, come si fa a pensare che ci sia un modo «sicuro» per essere felici?
«La felicità è un’esperienza camaleontica, la cui concezione dipende dal senso che noi diamo alla vita. Una prima grande spaccatura è tra chi pensa che essa consista nel condividere, nel partecipare questa esperienza ad altri, magari preoccupandosi del bene delle altre persone, e chi, invece, ritiene che sia qualcosa di riferito al singolo, da consumare in solitudine, in una chiave egoistica ed egotistica».
In base alla sua esperienza clinica, nei limiti in cui è possibile generalizzare, come viene percepita l’idea di felicità da chi vive una situazione di sofferenza psichica?
«Nella sofferenza psichica, ma direi più in generale nell’esperienza di ciascuno di noi, felicità e infelicità sono condizioni che sconfinano continuamente l’una nell’altra. È difficile vivere soltanto una di queste due situazioni, per così dire al cento per cento. Anche quando una persona vive un momento di felicità, ci saranno sempre delle ombre. Quando poi queste ombre scendono più fitte, siamo in presenza, ad esempio, della depressione. Fatta salva la legittimità, e anzi il dovere, di fare il possibile per non stare male, per non vivere la depressione intesa come malattia, vorrei però dire che quelle ombre di cui parlavo non vanno esorcizzate a tutti i costi».
In che senso?
«Nel senso che l’odierna società dei consumi tende troppo spesso a contrabbandare false idee di felicità, a proporre una felicità a tutti i costi la cui ricetta consiste, semplicemente e tragicamente, nel possesso di alcuni beni materiali. Si tende invece a dimenticare di valorizzare la vita interiore, che, se vissuta in pienezza, è in grado di smascherare e di contestare gli pseudo-significati che la società del benessere assoluto vuole propugnare. Questa costante ricerca di traguardi sempre più avanzati, dal benessere economico alla rincorsa teconologica, finisce con il produrre una nevrosi strisciante che è il contrario della felicità. Anche perché se si corre dietro a questa cascata di illusioni, quando poi le illusioni si frantumano, questa crisi getta nella disperazione quelle persone che, nel frattempo, non hanno saputo immaginare una valida alternativa».
Spesso autori di questi libri sulla felicità sono esponenti di diverse religioni. Ma la religione genera felicità o infelicità?
«L’esperienza religiosa può essere esperienza vitale e progressiva oppure superficiale e regressiva. Tutto dipende dai contenuti interiori con cui la si riempie. Se si valorizzano la componenti di intersoggettività e di donazione, questo determina felicità».
Che dire delle religioni quando impongono precetti e divieti, ad esempio nel campo della sessualità? In questo caso non rischiano di rendere le persone più infelici?
«Le rispondo proprio in merito all’esempio che fa lei, quello della sessualità. I rischi esistono sia nella tabuizzazione, ma anche nella negazione di ogni limite. La repressione dell’istinto sessuale può essere pericolosa, ma lo è altrettanto il dongiovannismo, l’atteggiamento di chi, come Don Giovanni, tende a vedere l’altro come oggetto da usare, vivendo il sesso non quale momento di comunicazione, ma come mera prestazione biologica, giungendo così alla sua cosificazione. Anche in questo campo, e le componenti più illuminate delle religioni lo insegnano, è importante vivere valori che sentiamo rispondenti alla nostra autenticità di persone».
Come si sente di commentare la ricerca dell’Università di Princeton per cui chi più è ricco si percepirebbe come meno felice?
«È ovvio che la ricchezza chiama altra ricchezza, chi possiede molto tende a volere di più, e questa rincorsa diventa qualcosa di nevrotico. Quando invece si conosce in prima persona la sofferenza, le difficoltà quotidiane, si è portati a comprendere meglio la sofferenza e le difficoltà altrui. E in questa capacità di empatia, a mio avviso, risiede uno dei principali motivi di felicità».

Dalle psicosi all’analisi delle emozioni
Eugenio Borgna, libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali presso l’Università di Milano è responsabile del Servizio di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara. Autore di numerosi saggi tra cui L’arcipelago delle emozioni, Le intermittenze del cuore, Malinconia e L’attesa e la speranza, (tutti editi da Feltrinelli) alterna una produzione più tecnica, rivolta ai colleghi psichiatri a libri più divulgativi dove analizza emozioni e sentimenti che possono essere segni di disagio e psicosi. Borgna contesta l’interpretazione naturalistica oggi in voga delle malattie mentali, che ricerca le cause della psicosi nel malfunzionamento dei centri cerebrali e le sue cure nei farmaci e nell’elettroshock. Pur dichiarando indispensabile l’ausilio dei farmaci nel caso di psicosi, difende la necessità di porsi in relazione con il paziente e di penetrarne il mondo. Il talento di Borgna consiste appunto nella capacità di penetrare il mondo psicotico, tanto nel rapporto con i pazienti quanto sulla pagina scritta, dove con l’ausilio delle storie dei suoi malati e dei testi letterari di famosi psicotici come Antonin Artaud e Gerard de Nerval, riesce a dare voce all’urlo silenzioso di questa patologia.

Nopsych.it 11.8.06
I compilatori dei DSM erano sui libri paga delle industrie farmaceutiche
di Davis Fiore

Il New Scientist e il Washington Post, due tra le più autorevoli riviste a livello mondiale, l'hanno recentemente reso noto. (NS 29-05-06; WP 20-04-06) Dei 170 membri che collaborarono alla stesura del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la cosiddetta "bibbia" psichiatrica, 95 di loro, più di metà, avevano legami con le industrie farmaceutiche, prima o dopo la pubblicazione. La percentuale sale al cento percento nel gruppo che lavorò ai disturbi schizofrenici, psicotici e dell'umore. Proprio i settori che secondo il Chicago Tribune hanno registrato la massima vendita di psicofarmaci, con un giro d'affari che nel 2004 si attestò a oltre 30 miliardi di dollari. Più è redditizio il mercato, maggiori sono i collegamenti.
Lo scandalo, non a caso, si è verificato in concomitanza al crescente dibattito sugli psicofarmaci, divenuti il principale trattamento psichiatrico, se non l'unico.
Simili accuse erano già state mosse nel 2002 da Allen Jones, investigatore dell'OIG (Pennsylvania Office of the Inspector General), nei confronti del "Texas Medication Algorithm Project" dell'amministrazione Bush. I finanziamenti, infatti, partivano in realtà dalla Pfizer e dalla Janssen Pharmaceuticals. Jones in seguito a queste sue dichiarazioni fu licenziato.
Spesso gli autori dei testi psichiatrici sono anche consulenti, ricercatori o conferenzieri di multinazionali e molte malattie sarebbero inventate dopo che la cura è stata preparata. In pratica, prima si cercano i farmaci e poi si crea la malattia.
Secondo un'inchiesta del Guardian britannico, pubblicata nel marzo del 2002, gli universitari ricevono ingenti somme di denaro dalle industrie per decantare nei loro articoli scientifici le proprietà terapeutiche dei nuovi psicofarmaci. Joe Sharkey, altro investigatore nel settore dei medicinali, si spinge oltre, sostenendo che molti psichiatri sono membri, consiglieri o azionisti delle stesse industrie farmaceutiche.
Non è facile prevedere le conseguenze a lungo termine di simili ingerenze, ma certamente hanno contribuito all'ampliamento delle definizioni delle malattie mentali, inventandone di nuove, per cui possano essere prescritti "farmaci" d'ultima generazione.
Mildred Cho, della Stanford Univeristy spiega: "L'esistenza di categorie di malattie convalida la necessità di farmaci. Le aziende farmaceutiche hanno un incentivo ad esercitare la propria influenza su coloro che formulano tali categorie". Resta comunque il fatto che ad oggi la psichiatria non ha dimostrato l'esistenza di squilibri biochimici che giustifichino l'uso di sostanze chimiche.

Fonte: www.washingtonpost.com/

Repubblica 11.8.06
Roma, si uccide l'ex parroco di Pomezia accusato di pedofilia
Lo accusava un gruppo di ragazzi maggiorenni, per vicende del 1993

ROMA - Si è suicidato Marco Agostini, 43 anni, l'ex parroco di Pomezia arrestato lo scorso aprile con l'accusa di pedofilia e violenza sessuale, in un biglietto ha scritto: "Non sono un pedofilo". Il sacerdote era agli arresti domiciliari in casa della madre, in un appartamento della zona Prenestina a Roma. La donna si era assentata solo per pochi minuti, ma quando è tornata lo ha trovato impiccato con un lenzuolo fisssato a una trave del lavatoio, sul terrazzo della palazzina. Nel biglietto lasciato alla madre l'ex parroco ha scritto: ""Ti chiedo scusa mamma per quello che è successo in questi mesi ma ci tengo a dire che non sono un pedofilo". Agostini aveva già tentato il suicidio in precedenza, ingerendo delle pastiglie, ma era stato trovato in tempo e ricoverato in ospedale.
Marco Agostini era stato arrestato nell'ambito di un'indagine su episodi avvenuti nel 1993, quando appunto era parroco a Pomezia. Era accusato di centinaia di abusi, denunciati da un gruppo di ragazzi, che avevano frequentato gli oratori diretti da Don Marco. Ad accusare l'ex parroco maggiorenni che affermavano di non aver parlato prima per paura: sostenevano infatti di essere stati plagiati e progressivamente persuasi a subire le sue attenzioni: Agostini veniva descritto come un uomo di grande carisma, con grandi capacità di coinvolgere e aggregare le persone. Quando era stato arrestato ad Assisi, dove era stato trasferito da Pomezia e si occupava di una casa-ostello per la gioventù, non poche erano state le voci che si erano levate in sua difesa.
Insieme con Agostini, per il quale il Vaticano aveva avviato il processo di secolarizzazione non appena saputo delle accuse, erano stati coinvolti nelle indagini don Ennio, parroco di San Benedetto, e don Germano, anziano parroco della chiesa di San Michele, sempre a Pomezia.

Galileo Magazine 11.8.06
NEUROLOGIA
Alla base dell'istinto
di Tiziana Moriconi

Le decisioni, anche quelle che crediamo più logiche, non derivano solo da ragionamenti sensati e attente riflessioni. L'istinto ci mette sempre lo zampino, e non è solo una questione “di pancia”: la deviazione dalla razionalità ha una spiegazione neurologica. Quando è il momento di scegliere l’amigdala, la regione del cervello deputata all'elaborazione delle emozioni, gioca un ruolo fondamentale. Così come ha dimostrato lo studio condotto da Benedetto de Martino del dipartimento di Imaging Neuroscience dell’Istituto di Neurologia dell’University College di Londra, pubblicato su Science.

Secondo la teoria del decision-making quando il nostro cervello deve effettuare delle scelte fa ricorso a operazioni analitiche. In realtà è dimostrato che quando le informazioni a disposizione sono incomplete o troppo complesse, gli individui si basano su semplificazioni intuitive e su regole empiriche e approssimative. In particolare, le nostre scelte possono essere fortemente influenzate dal modo in cui ci vengono presentate le diverse possibilità (framing effect). Dimostrare che esiste una base fisiologica delle scelte emotive scardinerebbe la teoria del decision-making. Proprio quello che hanno contribuito a fare i ricercatori inglesi.
L’esperimento ha coinvolto venti tra studenti e laureati in una sorta di gioco d'azzardo mentre erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale (fMRI). Ai partecipati è stato comunicato l'ammontare di soldi (50 dollari) che avrebbero potuto vincere. Quindi è stato loro chiesto di effettuare una scelta in due diversi contesti. Nel primo (schema di guadagno) dovevano scegliere di guadagnare 20 dollari a fronte dei 50 o di rischiare tutto avendo però una più alta probabilità di perdere che di vincere. Nel secondo (schema di perdita) dovevano scegliere di perdere 30 dollari dei 50 o, anche in questo caso, di giocarsi tutto con le stesse probabilità dello scenario precedente. I due schemi non differiscono nella sostanza, ma nel modo in cui sono presentati.
Il contesto si è rivelato molto importante nell’indirizzare la scelta: i partecipanti hanno rischiato significativamente di più nello schema di perdita che nello schema di guadagno (61,6 per cento nel primo caso, 42,9 per cento nell'altro). In accordo con le previsioni dei ricercatori, quindi, i soggetti si sono mostrati meno propensi a rischiare quando veniva usata la parola “guadagno”, rispetto a quando veniva loro prospettata l'idea della perdita.
“Grazie alle scansioni della risonanza”, spiegano gli autori dello studio, “siamo riusciti a identificare le aree del cervello che erano più attive quando i soggetti sceglievano secondo il framing effect (per esempio non rischiando nello schema di guadagno e rischiando nello schema di perdita) e abbiamo registrato una significativa attivazione bilaterale dell'amigdala.
Un differente pattern di attivazione delle aree del cervello è stato osservato quando i soggetti prendono decisioni che vanno contro la loro tendenza generale. In questi casi abbiamo osservato un'elevata attività nella corteccia cingolata anteriore (Acc)”. Quando si sceglie di andare contro la propria intuizione, l'attività della Acc indicherebbe un'opposizione tra due sistemi neurali: un conflitto tra la tendenza a rispondere analiticamente e quella a rispondere più emotivamente.
Considerando la variabilità individuale alla sensibilità della manipolazione, i ricercatori hanno anche calcolato un indice della razionalità personale e hanno trovato una significativa correlazione tra una minore influenzabilità e l'attività nella corteccia orbitale e medio-prefrontale (Ompfc): chi agisce più razionalmente mostra una maggiore attività in questa zona. Lesioni dell'Ompfc, infatti, causano l'incapacità di elaborare strategie comportamentali e impulsività. Si pensa che l'Ompfc integri le informazioni provenienti dall'amigdala e tenti di prevedere i risultati che avrà un certo comportamento.
“La nostra ricerca”, concludono gli autori, “suggerisce un modello in cui le informazioni emotive si integrano nei processi decisionali. In termini evoluzionisti, questo meccanismo potrebbe conferire un vantaggio dal momento che segnali non espliciti possono rivelarsi fondamentali. Questo sembra tanto più vero nella nostra società attuale basata su simboli e dove per prendere decisioni è spesso richiesta capacità di astrazione, secondo quello stesso meccanismo che potrebbe essere tradursi in una scelta irrazionale”.

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